Milano, Stadio Meazza: 10-07-1990

 

Ticket

 

Concert note

Part of this concert did appear on the official
live album "Live San Siro 10-07-1990"

Locandina

 

La Stampa 12 luglio 1990

 

 

La Notte 11 luglio 1990

 

 

L'Unita 11 luglio 1990

 

 

Review Repubblica — 12 luglio 1990 pagina 26 sezione: SPETTACOLI

 

VASCO, UN EROE CHE NON TRADISCE

LE SUE rivincite il popolo rock se le prende comunque, per esempio riappropriandosi con forza della dimensione dello spettacolo di massa. Siamo a San Siro, a 48 ore dalla fine dei Mondiali, e sessantamila giovani affollano lo stadio non per una partita di calcio, ma per un concerto rock. E la differenza non è da poco. Ad un concerto non ci sono nè vincitori nè vinti. Quando le cose funzionano, vincono tutti. E per primo questa volta ha stravinto il protagonista assoluto della serata, il massimo rocker italiano, ovvero Vasco Rossi da Zocca. E Zocca batte Pacentro, e la sua sua scandalosa progenie, almeno per 3 a 1 (i sessantamila di San Siro contro i ventimila del Flaminio), con implicazioni molto più vaste di quanto i numeri da soli non riescano a spiegare. Urgono riflessioni adeguate, ma di sicuro si profila un brusco ridimensionamento della cartapesta che sta invadendo il circuito rock. Da parte sua Vasco Rossi, simbolo della totale e disinibita carnalità del rock, dell' autenticità a tutti i costi, ha onorato questa clamorosa partecipazione di pubblico come meglio sa fare, con la massima generosità, sfiorando le tre ore di concerto e offrendo al pubblico praticamente tutto ciò che conta del suo nutrito repertorio. Il suo rapporto con la platea è semplice ed immediato. Anche attraverso le grandi distanze imposte dallo stadio, la gente lo riconosce, lo sente, lo considera quasi come un amico, uno tra i tanti con cui ci si può identificare senza eccessivi sforzi. E' il piccolo grande segreto di Vasco. Parla alla gente col linguaggio comune, senza distanze poetiche. L' uso della metafora gli è del tutto sconosciuto, e del resto non ne ha alcun bisogno. Da Muoviti a Blasco, da C' è chi dice no a Dillo alla luna, i proclami sono spietatamente diretti, e puntualmente riscuotono consensi fragorosi. Dove, casomai, non ha onorato al meglio l' eccezionalità della serata è nella fantasia. Il concerto, seppure con una scaletta notevolmente rinforzata rispetto a quella dello scorso anno, ne ricalca pedissequamente il copione. Il suo stile segna il passo, a tratti, senza scarti nè sorprese di alcun genere. Siamo molto vicini al clichè del rock, e ormai a crederci con tale disarmante fiducia c' è rimasto, metallari a parte, solo Vasco, l' ultimo dei desperados, l' ultima sedicente bestia della canzone italiana. Uno dei pochi guizzi è Tango, dove l' irriducibile Vasco riesce a coniugare il rock col tango, con tanto di fisarmonica (anche se purtroppo solo emulata da una tastiera elettronica). Per il resto si procede su binari piuttosto rigidi. Si batte il tempo del rock, poi si passa ai lenti, tipo Ogni volta, che ricorda molto da vicino Insieme, firmata Mogol-Battisti. Fino a che con Lunedì, uno dei pezzi più effervescenti del concerto, si ritorna alla pulsazione rock, alla pura animalità, che poi è il maggior pregio del cantautore. Il pubblico non mostra cedimenti. Non accusa la ripetitività della musica, perchè ne privilegia i toni da proclama. Si identifica coi testi e con quella rabbia sorda e indomabile che viaggia in quelle canzoni. E ci pensa lo stesso Vasco, tra un pezzo e l' altro, a sottolineare questo feeling. Siamo tutti delle bestie! urla, e lo stadio risponde con un boato. Poi osa ancora di più: Ma quand' è che vi incazzate un po' ?. Altro boato. Ma il bello deve ancora venire. Tutto sommato la semplicità musicale di queste canzoni appare un limite soprattutto sul repertorio più recente. Sembra funzionare a perfezione quando ritorniamo ai classici. Vi è mai capitato di ascoltare Vita spericolata cantata da sessantamila persone? Possiamo assicurarvi che fa un certo effetto. Ed è un giusto preludio a Liberi liberi dove in fondo Vasco confessa i dubbi, le incertezze, la crisi di identità di uno che come lui forse un tempo aveva le idee più chiare, e oggi fa fatica a capire la direzione giusta, o quale sia quella auspicabile. Ma anche in questa fragilità, Vasco è talmente diretto, disarmante, da portarsi dietro tutto il pubblico all' unisono. E quando torna al rock pesantissimo con Vivere senza te e Domenica lunatica, lo stadio esplode. E si va avanti fino alla fine a colpi di Bollicine, Colpa d' Alfredo, Siamo solo noi e Albachiara, ovvero i capolavori, purtroppo non ripetuti, della semplice ma efficacissima arte di Vasco Rossi. Quello di San Siro è stato un vero trionfo della musica italiana. Lo stadio funziona da potente amplificatore di emozioni, di limiti e di pregi di un concerto. Forse sul piano creativo, Vasco ha già espresso anni fa le sue cose migliori, ma la sua presa sul pubblico è tutt' altro che calante. E' ancora l' eroe delle frange giovanili più emarginate, più rabbiose, uno dei pochissimi in Italia a poter ancora giustificare l' aggregazione collettiva. L' unico rimpianto è questo attaccamento esasperato ad un clichè rock che oggi appare fortemente invecchiato. Ma nessuno ha detto che la fantasia debba per forza essere inconciliabile con l' autenticità. E meno che mai deve cadere in questo equivoco proprio Vasco Rossi. Un eroe in crisi, ma pur sempre un eroe.
- di GINO CASTALDO

 

Corriere della Sera— 11 luglio 1990


 

 

Corriere della Sera— 9 luglio 1990