Review
Il Messagero
ROMA - Due concerti invece dell'unico
previsto, quasi 60mila persone, 28mila a serata, ad
applaudirlo: così la Capitale ha risposto al Rewind
Tour che Vasco Rossi ha portato ieri e questa sera
alla Curva Sud dell'Olimpico. Uno spettacolo, quello
del rocker di Zocca, lineare, impeccabile, vigoroso,
robusto e dolce, dove non mancano i momenti irruenti
ma c'è spazio per la riflessione, il ricordo - dell'amico
Massimo Riva recentemente scomparso - e la passione
pare stemperarsi ma resta sempre viva.
Va detto che una scenografia migliore
non la si poteva trovare, il palco mai come questa
volta è parte integrante, è lo show, non mero involucro:
completamente aperto, in alto e ai lati dove troneggiano
due alte torri sorrette da 48 fibre ottiche che cambiano
continuamente colore, due bracci metallici - ricordano
quelli usati anni fa da Peter Gabriel - che frugano
artisti e pubblico con le loro innumerevoli luci,
l'orologio Swatch che segna il tempo Internet, 600
fari, parecchi stroboscopici, megaschermo centrale
ad altissima definizione e certi occhiali-microcamere,
spettacolari, che indossa Rossi. Una meraviglia che
però non riesce a fagocitare, svilire, sminuire la
smisurata vitalità di Vasco e dei suoi: anzi, è forse
proprio in questo laboratorio altamente tecnologico
che si confronta con l'umanità, la fallibilità, la
bravura di musicisti e cantante che si alligna l'elemento
in più dell'intero show.
Vasco, tutto vestito di cuoio nero,
appare all'improvviso nel buio sul palco viola, fumigante:
accanto a lui ha un vecchio amico, il chitarrista
Maurizio Solieri, insieme attaccano, l'hanno scritta
loro, Lo show e i 28 mila del pubblico - sotto al
palco c'è il figlio avuto da una ragazza romana, il
biondo e bello Davide, 12 anni, col cuginetto - capiscono
che sarà una notte fatta di rock, di quello che ti
scortica pelle e cuori, ti rallegra una bella vita,
"di quelle che non muoiono mai".
Se credevate che con gli anni il ragionier
Rossi si era addolcito avete sbagliato di grosso,
non salta e si dimena come un tempo - il farlo susciterebbe
ilarità, Rossi è uno serio - ma lo spirito è quello
giusto. Così come quello dei musicisti con cui divide
la scena, vale a dire i tastieristi Alberto Rocchetti
e Frank Nemola, suona anche la tromba, il sassofonista
e flautista Andrea Innesto, il bassista Claudio "Gallo"
Golinelli, la dotatissima, in tutto, corista, Clara
Moroni, il bel Solieri e gli statunitensi Steff Burns,
chitarra solista, e Jonathan Moffett, batteria, gente
che convince. E tramortisce.
Si prosegue con Sballi ravvicinati
del terzo tipo, Rewind, Nessun pericolo
per te, Blasco, pagine della vita del Vasco
nazionale, Ormai è tardi, Stupendo,
di nome e di fatto. La notte si fa elettrica con la
sei corde virulenta di Burns, Moffett e Golinelli
sono ritmica poderosa, Rocchetti, Nemola e Solieri,
all'acustica, sembrano defilarsi ma sono validi quanto
e come Clara.
Jenny è pazza, quell'angelo disperato
di Sally, quella de "perchè la vita è qui",
verso che ti strappa l'anima, L'una per te,
Senza parole, Vivere, rischiarata dall'ottimo
Solieri, Mi si escludeva, Golinelli stantuffa
il tenebroso basso, è Gli spari sopra, qui
è Burns il protagonista quando si attorciglia e sventra
quasi la chitarra con assoli a raffica, Delusa
fino a Io no, la chiusura dopo la scherzosa
presentazione del gruppo.
Sono passate da poco le 23 quando sul
megaschermo appare, fumando e con l'acustica a tracolla,
Massimo Riva. Le immagini sono del concerto di Imola
dello scorso anno, canta Quanti anni hai. Il
gruppo conclude il pezzo, Vasco, con voce strozzata
dice "Nessuno, nessuno muore mai completamente, qualche
cosa di lui rimane sempre vivo dentro di noi, viva
Massimo Riva", al che i 28mila esplodono in un memorabile,
interminabile applauso: è quello il miglior omaggio
a Massimo che da qualche parte starà guardando col
suo sguardo ironico. Gli angeli è il pezzo
giusto per ricordarlo, incorniciato da un batter di
mani che sembra non voler finire mai e l'assolo finale,
micidiale, del virtuoso Burns. Va via, Rossi, ma parte
l'ola festosa, si urla "olè olè olè olè Vasco Vasco".
Bisogna tornare. C'è chi dice no. Bollicine.
Vita spericolata, magnifiche le svirgolature
del sax di Innesto, pezzi che lo hanno fatto scoprire,
amare, bramare, idolatrare, e tutti, tutti, tutti
cantano.
Baccano e urlio dei 28mila non si placano.
E vai, allora, col piano del caprino, visto il pizzetto
rosso, Rocchetti, è Albachiara, col gruppo
che ruggisce, le luci che spazzano cielo, Curva, gente.
Ultimo, struggente regalo, semplice e sincero proprio
come lui, al suo popolo, parola fine di uno show dove
i sentimenti sono ben radicati e gli assenti importanti,
quanto e più dei presenti, prova di maturità ampiamente
superata. A riprova che il rock, quello che ti fa
sudare e sognare, il migliore, in Italia è sempre
lui, Vasco Rossi.
di Paolo Zaccagnini
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